REALTÀ E FINZIONE DIETRO LE SBARRE: IL STANFORD PRISON EXPERIMENT

Di: | Tags: | Commenti: 0 | Giugno 17th, 2015

La legge di Murphy lo ha approfondito ma Thomas (1928) lo ha reso proverbiale: quando per un individuo una situazione è considerata reale, essa lo è, comunque, nelle sue conseguenze.

Cosa succederebbe se vi chiedessi di calarvi in una parte e di essere convincenti nel ruolo di prigionieri? Chi di noi da bambino non ha mai giocato a guardie e ladri? Chi di noi nell’inseguire gli amichetti prigionieri che scappavano non si è sentito anche solo per un istante una guardia? L’ormai noto esperimento della prigione di Stanford ci insegna che le conseguenze possono essere sorprendenti e imprevedibili. Quella che allora fu una scoperta eclatante oggi si racconta nelle scene di un film.

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The Stanford Prison Experiment è il titolo della rappresentazione cinematografica di quanto accaduto ormai più di quarant’anni fa. Ricreare le dinamiche di un carcere è stato il punto di partenza dello studio condotto dal team della Stanford University, reclutando poco più di una ventina di volontari divisi tra carcerati e secondini. Il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Stanford, in California, curò persino l’aspetto logistico dell’esperimento, predisponendo una struttura simil carceraria nei sotterranei dell’università stessa, con l’intento di comprendere le possibili conseguenze del mettere della brava gente in un posto ‘cattivo’.

Il film uscirà nei cinema statunitensi il 17 luglio prossimo e per il momento non ci sono notizie circa un’eventuale distribuzione in Italia. Il regista – lo statunitense Kyle Patrick Alvarez – ha ripercorso gli aspetti più salienti dell’esperimento pensato e diretto dal professor Philip Zimbardo, partendo dalla selezione dei volontari, passando per la suddivisione tra guardie e secondini e concludendo con il progressivo estremizzarsi dell’esperimento, dovuto a una reale identificazione di ruolo e a conseguenti agiti comportamentali di sopraffazione e ribellione.

Facciamo un passo indietro, cosa successe? Tutto cominciò con un vero e proprio inaspettato arresto: coloro i quali erano stati selezionati arbitrariamente (mediante il lancio di una moneta) per il ruolo di carcerati non sapevano che sarebbero stati colti alla sprovvista con tanto di manette e volante della Polizia. I detenuti sono stati successivamente condotti nel luogo adibito a carcere sperimentale per la perquisizione svoltasi come da prassi: spogliati e privati dei propri effetti personali, omologati con una squallida divisa e un calzino di nylon sul capo a simulare il militare taglio di capelli anti pidocchi. I secondini non ricevettero grosse indicazioni sul loro ruolo, salvo la direttiva di mantenere l’ordine nella prigione utilizzando qualsiasi mezzo ma guardandosi bene dal nuocere all’integrità fisica dei detenuti: questo era vietato!spic24

Rapidamente, atteggiamenti e comportamenti delle guardie divennero più marcati e drastici e i prigionieri iniziarono ad accusare le vessazioni e i maltrattamenti subiti. Tutto ciò portò a delle rivolte dei prigionieri (puniti dai secondini) e all’elaborazione di veri e propri piani di fuga (non andati a buon fine). A sei giorni dall’inizio (la durata prevista era di due settimane), il team di studiosi dovette sospendere l’esperimento. Se i prigionieri si dimostrarono sollevati, i secondini riferirono la loro insoddisfazione per la conclusione anticipata della sperimentazione.

Le numerose critiche – di natura etica prima ancora che tecnico scientifica – allo studio succitato hanno rovesciato la causalità degli esiti ipotizzata da Zimbardo. Non sarebbe il ruolo assegnato (secondini vs prigionieri) a determinare il comportamento – seppur riprovevole e contro normativo – dei volontari, ma si tratterebbe, secondo quanto sostenuto dal BBC Prison Study, di alcune condizioni favorevoli alla creazione di un regime tirannico. L’autonoma formazione di un gruppo sorretto da una leadership ben definita e l’articolazione di un progetto autoritario con cui risolvere problemi concreti sarebbero le premesse agli esiti del Stanford Prison Experiment. Haslam e Reicher, sostenitori principali di quest’ultima ipotesi, hanno ritenuto che, a Stanford, l’intervento di Zimbardo avesse viziato i risultati dell’esperimento laddove, indirizzando i secondini sul loro ruolo, si è posto di fatto come il leader della loro fazione.images (2)

Seppur molto contestato, l’esperimento è stato spesso citato per la sua importanza nell’ambito della ricerca in psicologia sociale.

Zimbardo dirà poi: ‘solo molto tempo dopo mi resi conto di quanto, a quel punto dello studio, fossi entrato a piè pari nel mio ruolo: stavo ormai pensando come un responsabile di prigione piuttosto che come un ricercatore sociale’. Che Haslam e Reicher avessero ragione?

 

Dottoressa Claudia Marceddu

Psicologa clinica e forense

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