LA CONSULENZA TECNICA DI PARTE: INQUADRAMENTO NORMATIVO

Di: | Tags: | Commenti: 0 | Maggio 4th, 2015

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L’art. 225 c.p.p. disciplina il tema della nomina del consulente tecnico asserendo che, una volta disposta la perizia da parte del giudice, è concesso al pubblico ministero e alle parti private di nominare propri consulenti tecnici in un numero che non superi, per ciascuna parte, quello dei periti. Nel primo caso, in fase di indagini preliminari, il Pubblico Ministero (P.M.) può nominare un Consulente Tecnico (C.T.) in riferimento a quanto previsto dall’art. 359 c.p.p., ossia qualora lo stesso necessiti di specifiche competenze circa accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ogni altra operazione tecnica che esuli dalle proprie competenze. Similmente a quanto accade per il perito e per il C.T.U., il Consulente del P.M. non può rifiutare la propria opera, fatta eccezione per le circostanze di incapacità, incompatibilità e astensione previste dalla legge (Cfr. co. 3, art. 225 c.p.p. e co.1, art. 222). Altra doverosa precisazione riflette la necessità che il C.T. acquisisca la medesima imparzialità del P.M. poiché, trattandosi di una parte pubblica, non dovrebbe sussistere alcun interesse orientato all’assoluzione o alla condanna dell’imputato, bensì, in fase di indagini preliminari, l’interesse rilevante rifletterebbe l’accertamento della verità. Nel caso in cui per il giudice non sia sufficiente, o sia logicamente scorretta e contradditoria, la C.T. del P.M., in fase di Udienza Preliminare disporrà perizia. La valenza probatoria e, dunque, processuale di quest’ultima, com’è noto, è ben distinta da quella della consulenza del P.M. e delle parti.

Nel secondo caso previsto dall’art. 225 si rintracciano i Consulenti Tecnici di Parte, i quali possono accostare sia la difesa sia la parte civile. Un C.T.P. può assistere al conferimento dell’incarico al perito, presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve, delle quali è fatta menzione nel verbale e partecipare alle operazioni peritali. Il riferimento normativo è riconducibile all’art. 230 c.p.p., all’interno del quale si asserisce che ai C.T.P. è concessa la partecipazione alle attività peritali prodotte dall’esperto del giudice, coadiuvandolo nell’incarico, proponendogli specifiche richieste e formulando osservazioni e riserve. In definitiva, i C.T.P. hanno il diritto-dovere di seguire le varie fasi della perizia, di tutelare, nei limiti etici della propria professione, la parte che ha richiesto la consulenza e, in conclusione, di redigere delle note psicologiche a supporto della relazione peritale o, al contrario, dissentire dalle conclusioni della medesima, criticandone i contenuti.

Le parti, all’interno del processo penale, possono far ricorso – indipendentemente dalla perizia – a dei consulenti con l’intento di avanzare valutazioni di carattere scientifico utili ai fini della decisione (Cfr. art. 233 c.p.p.).

Contrariamente a quanto accade per perito e C.T.U., i C.T.P. non devono sottostare all’obbligo di verità; ne consegue che gli stessi non possano incorrere nel reato di falsa perizia, previso dall’art. 373 c.p., o di consulenza infedele, previsto dall’art. 380 c.p. Ciò fermo restando le conseguenze che la violazione della deontologia professionale sempre e comunque comporta.

 

Dottoressa Claudia Marceddu

Psicologa clinica e forense

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