C come…

Di: | Tags: | Commenti: 0 | Maggio 14th, 2015

C come conflitto, quello forte che sentiamo nel quotidiano, con le persone che ci circondano, con le cose che facciamo, con ciò che ci succede, insomma con noi stessi. L’incognita del domani, l’impressione di camminare perennemente su di un filo sottile che non è tessuto neanche dalle nostre mani. La sensazione spiazzante di non essere padroni delle proprie scelte, della propria vita, l’impotenza disarmante e quell’ineludibile senso di vuoto.

dubbioQuanto vi rispecchiate in questo inesorabile spaccato di attualità? Eh già, quella dei giorni nostri pare essere una generazione condannata a vivere un periodo storico-culturale che detta tiranno la negatività del vissuto. Ma è realmente così? Davvero ci sentiamo di attribuire la paternità di cotanto abominio a una sovrastruttura impercettibile ma pressante quale la società forse? O qualcuno la chiama politica, altri ancora crisi. Quanto e cosa di noi rimane allora? O non esiste un noi se non definito dall’esterno? Probabilmente. Questo tuttavia giustifica il nostro sopire?

Ecco come districare il rebus: fintanto che individuiamo la causa delle nostre sventure – mi si conceda la banalità del termine – in qualcosa di altro da noi, non potremo che sentirci incapaci di modificare il nostro vivere. Viceversa, prenderci almeno parte della responsabilità, ci invita a cercare quella possibilità di cambiare tanto auspicata.

C come cambiamento dunque, quello che parte da noi stessi, quello che ci fa sentire autori e attori della nostra vita, quello che non necessariamente migliora la nostra condizione ma quantomeno ci proietta nella diversità che potenzialmente può riservarci qualcosa di positivo, perché no…

Non è forse un’alternativa plausibile questa, avverso la staticità della nostra insoddisfazione e insofferenza? A voi la scelta!

 

Dottoressa Claudia Marceddu

Psicologa clinica e forense

Lascia un Commento