RICORDI E DINTORNI
Quante volte vi siete chiesti come funziona la memoria? Se non altro vi sarà capitato di imbattervi in discussioni sul tema.
Cosa rende taluni eventi o persone più rapidamente disponibili in memoria; insomma perché ci sono delle situazioni che ricordiamo più facilmente? Altri avvenimenti proprio non ci tornano alla mente e altri ancora sono frutto del ricordo dei nostri genitori, dei nostri nonni, che racconto dopo racconto hanno reso vivida un’immagine mentale che prima di allora avremmo giurato non ci riguardasse affatto.
In letteratura si sprecano gli innumerevoli e autorevoli studi sull’argomento.
Certo, tra noi e il mondo c’è il filtro della nostra percezione che anticipa il momento di elaborazione delle informazioni e della successiva codifica delle stesse. Il preciso meccanismo mnemonico a servizio dei nostri ricordi è preparatissimo a selezionare le informazioni che sono meritevoli di essere processate e a scartare quelle che non hanno alcuna funzione in vista delle successive fasi di rielaborazione e ritenzione. Una volta immagazzinata, l’informazione risente – o beneficia, chi può dirlo! – delle nostre esperienze e cognizioni successive: persino raccontare a un amico ciò che ci è accaduto, o meglio, ciò che ricordiamo esserci accaduto, è cosa piuttosto complessa. Questo perché non potremmo mai essere sicuri che il nostro interlocutore capisca ciò che noi vorremmo fargli intendere (più probabilmente potremmo essere certi del contrario!). Prima ancora non saremmo sicuri di raccontare l’evento per come lo ricordiamo e retrocedendo chi può dire di ricordare un fatto per come effettivamente si è verificato? Insomma è ormai chiaro, e pacificamente assodato, che la memoria goda di una natura ricostruttiva tale per cui il nostro modo di essere, i nostri rapporti, il nostro lavoro, le esperienze, le riflessioni…assegnano una forma e un significato a quel puzzle di dati la cui origine diventa poi sfumata. Pensate agli effetti nefasti di una tale discrezionalità del ricordo in sede testimoniale. Non a caso da anni si discute su quanto un testimone possa essere considerato attendibile e su quanto sia opportuno che questo diventi oggetto di valutazione all’interno di un’Aula di Tribunale. La genuinità della traccia mnestica viene messa in discussione dinnanzi ad eventi emotivamente pregnanti: testimoniare circa il volto del ladro in un caso di scippo subìto si differenzia certo dal riconoscere il volto della cassiera che ci ha servito al banco dei salumi; tra l’altro se un evento è turbolento e inaspettato l’altro è automatico e di scarso rilievo pertanto deficitario anch’esso di una soglia attentiva sufficientemente alta da preservare il focus nei dettagli. Rievocare più volte l’evento, poiché dapprima lo raccontiamo agli amici, poi ai familiari, poi alle Autorità, purtroppo non ci aiuta: maggiori saranno le volte in cui riferiamo l’evento più ricostruiremo il fatto e affineremo una versione del medesimo che ci sembrerà identica al reale e della quale ci convinceremo. Detto ciò, mettere in discussione una convinzione salda della nostra memoria è drammaticamente impensabile, salvo poi non trovare delle prove incontrovertibili circa la fallacia mnestica tanto difesa. Vi pare forzato? Credete sia una montatura creata ad hoc per sostenere il relativismo che colora ormai la nostra quotidianità? Mettiamoci alla prova dunque e lasciamoci stupire dal filmato che ho scelto per voi.
Dottoressa Claudia Marceddu
Psicologa clinica e forense